Le milizie e il capitalismo clientelare ostacolano la ricostruzione della Siria

Siriani scavano nelle macerie
Siriani che cercano sopravvissuti tra le rovine della città di Qusayr, in provincia di Homs – 21-5-2013 (AFP – HO/Fair use. Tutti i diritti dell’autore)

Di Joseph Daher da SyriaUntold e OpenDemocracy

Per la prima volta dal 2011 nell’agosto del 2017 si è svolta la Fiera Internazionale di Damasco nel tentativo di attirare investitori esteri e promuovere un’immagine di normalità nel paese. Hanno partecipato diverse imprese da Russia, Iran, Cina, Iraq, India, Sudafrica e Libano insieme ai rappresentanti di più di quaranta paesi. Malgrado abbia avuto uno scarso impatto economico e un colpo di mortaio che ha provocato numerose vittime abbia confermato la fragilità delle condizioni di sicurezza il messaggio del regime per gli attori locali, regionali e internazionali era chiaro: Asad è quì per restare e questo è l’inizio del periodo di ricostruzione della Siria.

Questa è stata l’apice dell’impegno dei maggiori attori statali internazionali e regionali nella “guerra al terrore” e del consenso generale riguardo la permanenza al potere di Bashar Al-Asad, due fattori che hanno rafforzato la fiducia del dittatore e della classe dominante a Damasco.

Tuttavia il regime dovrà affrontare diverse sfide prima di raggiungere la stabilità politica ed economica ed assicurarsi i fondi per la ricostruzione: alcune di queste sono radicate nelle contraddizioni interne e nella natura di stato patrimoniale del regime, altre derivano dalla divergenza di interessi tra coloro che lo hanno sostenuto, soprattutto le milizie e i capitalisti clientelari.

La carenza di investimenti nazionali ed esteri

La ricostruzione è un progetto di punta del regime e dei capitalisti clientelari, che vogliono consolidare il loro potere politico ed economico, ed è anche un modo per premiare gli alleati esteri con una fetta di mercato. Inoltre rafforzerà le politiche neoliberiste del regime che è profondamente indebitato e non è in grado di finanziarla.

All’inizio del gennaio 2017 dopo la sua vittoria ad Aleppo Est Damasco pianificava di imporre su tutto il paese il Decreto 661, una legge promulgata nel 2012 che aveva già espropriato molti residenti della capitale. Il decreto venne applicato su due grande regioni informali della zona sud di Damasco – il distretto Mezzeh e la grande area che va da Qadam a Daraya – e risarcì i residenti distribuendogli alcuni lotti che dovevano essere ricostruiti. Secondo Jihad Yazigi, redattore di Syria Report, “agli espropri sono sempre seguiti dei rimborsi molto bassi. È un chiaro furto contro queste persone […] è un trasferimento esentasse di risorse pubbliche alle imprese private e darà maggior potere ai clienti del regime2.”

Questo piano fornirà 21,000 unità abitative a circa 60,000 residenti. Ci saranno scuole, ristoranti, luoghi di culto e addirittura un parcheggio multipiano e un centro commerciale3. I politici di Damasco si sono difesi dicendo che l’obiettivo è di migliorare la qualità abitativa e di voler allargare il decreto ad altre aree informali4.

Un altro esempio è Homs, dove nel settembre 2015 è stato approvato il piano per la ricostruzione del quartiere Baba Amro e nel marzo 2017 il municipio ha fondato la società capogruppo per la gestione del progetto immobiliare5. Il piano per la ricostruzione includeva 465 lotti, principalmente ad uso residenziale, oltre a spazi pubblici e servizi come scuole ed ospedali. In modo simile le accuse indicavano sempre le possibili conseguenze demografiche.

Poichè permette la distruzione e l’esproprio di grandi aree il Decreto 66 può essere utilizzato come uno strumento per grandi progetti di sviluppo che arricchiranno i compagni di merende del regime e allo stesso tempo come punizione per le popolazioni che si oppongono ad esso. Lo sviluppo dei progetti residenziali viene portato avanti da società detenute dai governatorati o dalle municipalità ma la loro esecuzione verrà appaltata a compagnie private detenute da investitori con buoni agganci politici. L’attuazione di questa legge ha vari obiettivi: è un mezzo per far pressione a chi vive fuori dalle zone sotto controllo del regime grazie alla minaccia di espropriare le loro proprietà in loro assenza, è una fonte di arricchimento per i capitalisti legati al regime ed è un modo per attirare capitali dai vari paesi che vogliono fare profitti con la ricostruzione6.

Nell’agosto 2017 il Gruppo Aman, di proprietà di un imprenditore con forti legami col regime, Samer Foz, ha annunciato il suo contributo alla ricostruzione di Basateen Al-Razi, nel quartiere di Mezzeh a Damasco, in collaborazione con il governatorato cittadino e la Società Per Azioni pubblica Damascus Cham. Aman Damascus, creato dal gruppo Aman per questo progetto, ha dichiarato un capitale di 18,9 milioni di dollari ma senza fornire alcun dato sulle quote dei suoi soci. Prima di questo accordo la Damascus Cham aveva intrapreso una collaborazione simile con la Zubaidi&Qalei LCC, di proprietà di due potenti uomini d’affari damasceni, Khaled Al-Zubaidi e Nader Qalei, con forti connessioni con il regime tanto che la loro compagnia Castle Investment è stata premiata con un contratto a lungo termine per la gestione dell’Ebla Hotel, un villaggio turistico a cinque stelle con un centro conferenze alla periferia di Damasco7.

Il fatto che Samer Foz e Nader Qalei siano sunniti non ha impedito che fossero molto vicini al regime, il che conferma ancora una volta le varie strategie e strumenti per creare una base popolare variegata tramite il clientelismo, il tribalismo ed il settarismo.

Come Homs e i vari sobborghi di Damasco, Aleppo, in cui secondo un bilancio preliminare del comune8 più del 50 percento degli edifici e delle infrastrutture sono state distrutti o gravemente danneggiati, potrebbe vedere l’imposizione di progetti simili. Inoltre gran parte dei suoi quartieri orientali sono stati spopolati con la forza.

Alcuni abitanti di Aleppo Est stanno cominciando a tornare ma per ora restano una minoranza. Si è stimato che nel primo semestre del 2017 più di 440,000 profughi interni sono tornati alle loro case mentre l’UNHCR afferma che 31,000 rifugiati sono tornati dai paesi confinanti. Sono cifre basse considerando che in più di cinque milioni hanno lasciato il paese e che ci sono altri 7,6 milioni che sono sfollati interni. La popolazione siriana si è ridotta del 20%9.

Gli investimenti privati sono insufficienti per ricostruire il paese: secondo le stime dell’aprile 2017 il costo è di 350 miliardi di dollari10. Inoltre ci sono problemi di finanziamento: i piani di Partenariato Pubblico-Privato (PPP) si basano essenzialmente sul finanziamento delle banche che non sono in grado di fornire la cifra prevista: infatti a fine 2016 le risorse totali delle 14 banche commerciali private che operano nel paese ammontavano a 1,7 trilioni di sterline siriane, equivalenti secondo il cambio dell’epoca a 3,5 miliardi di dollari (nel 2010 l’ammontare era di 13,8 miliardi di dollari). Alcune delle sei banche statali detengono più di tutte le loro controparti del settore privato, soprattutto la Banca Commerciale di Siria, tuttavia possiedono anche un grande ammontare di crediti inesigibili11.

Di conseguenza la ricostruzione ha bisogno di un massiccio finanziamento estero che probabilmente andrà a beneficiare i paesi che più hanno sostenuto il regime di Asad, soprattutto Iran e Russia. Nel febbraio 2017 Adib Mayaleh, il ministro dell’economia siriano, ha dichiarato che le imprese iraniane e degli altri paesi alleati saranno premiate mentre le compagnie europee ed americane potranno giovarne solo dopo che i loro governi si saranno scusati12. Dopo la ricattura di Aleppo Est anche il governatore Hossein Diyab ha sottoloneato che l’Iran “svolgerà un ruolo importante nello sforzo di ricostruzione della Siria, soprattutto ad Aleppo”. Nel marzo 2017 l’Autorità Iraniana per la Ricostruzione ha pubblicizzato il restauro di 55 scuole nella provincia di Aleppo13. Inoltre l’Iran con le sue quaranta imprese è stato il principale partecipante alla Fiera Internazionale di Damasco14.

Nell’ottobre 2015 una delegazione russa ha visitato Damasco e ha annunciato che le loro compagnie avrebbero guidato la ricostruzione postbellica: ai negoziati seguirono una serie di accordi da 850 milioni di euro. Una visita parlamentare russa nel novembre 2016 si è conclusa con Walid Muallem, il ministro degli esteri siriano, che offriva alle ditte russe la priorità nella ricostruzione15.

Lo scorso agosto il governo cinese ha ospitato la “Prima Fiera dei Progetti di Ricostruzione in Siria” durante la quale un gruppo imprenditoriale sino-arabo ha annunciato un impegno governativo di due miliardi di dollari per la costruzione di zone industriali16.

Ciononostante il livello di distruzione nel paese solleva una questione: il denaro iraniano, russo ed addirittura cinese sarà sufficiente? Il fatto che alcuni attori principali come gli stati occidentali e le monarchie del Golfo non vogliano investire in Siria pone una serie di problemi.

Tuttavia la questione della ricostruzione è legata anche alla capacità del regime di fornire stabilità alle regioni sotto il suo controllo e un ambiente favorevole agli affari e agli investimenti. Tutto ciò è messo a rischio da due fattori: le milizie e i capitalisti clientelari.

Homs reconstruction plan
Piano di ricostruzione di Baba Amro, Homs – 28/08/2015 (sito ufficiale del Governatorato di Homs/Fair use. Tutti i diritti dell’autore)

Le milizie che diffondono il caos

Da un po’ di tempo le lamentele contro le milizie che operano nelle zone sotto il controllo del regime sono diventate palesi: i miliziani sono coinvolti in varie attività criminali come la rapina, il saccheggio, l’omicidio, le lotte intestine e soprattutto le estorsioni nei posti di blocco. Tutto ciò ha comportato un aumento dei prezzi e l’inasprimento della situazione umanitaria.

Le critiche sono diventate sempre più esplicite in varie zone, soprattutto sulla costa dove i residenti hanno ripetutamente manifestato contro il silenzio della polizia locale e delle forze di sicurezza nei confronti dei crimini, dei rapimenti e dei saccheggi perpetrati dalle milizie del regime17.

Questa rabbia è dilagata in altre aree: nel settembre 2016 gli abitanti di Aleppo Ovest hanno espresso la loro frustrazione contro i funzionari governativi a causa dell’aumento dei saccheggi delle case da parte dei gruppi lealisti shabbiha dopo che queste erano state evacuate a causa della guerra. Inoltre i miliziani avevano saccheggiato centinaia di fabbriche e botteghe artigiane della zona industriale di Ramouseh. Fares Al-Shehabi, un deputato e capo della Camera degli Industriali di Aleppo, si è addirittura lamentato di ciò sulla sua pagina Facebook.

L’imam pro-regime della moschea Al-Abara ne ha parlato durante il sermone del venerdì spiegando che il commercio di oggetti rubati era vietato dalla legge islamica. Di contro Ibrahim Ismael, un comandante shabbiha, ha detto che erano il “bottino di guerra” per coloro che avevano difeso Aleppo18.

Nel maggio 2017 dopo le diffuse proteste dei mercanti e dei camionisti esasperati il governo ha tentato di cancellare le imposte estorte ai posti di blocco del regime. Gli uomini d’affari di Aleppo le avevano criticate sempre di più e gli autotrasportatori di Sweida avevano bloccato per due ore l’autostrada per Damasco per protestare contro le “tasse” imposte sui camion che trasportavano beni dentro e fuori la città19. Molti giorni dopo la Camera di Commercio di Damasco aveva chiesto un simile divieto per la capitale20.

Per rispondere a questi disordini sempre più diffusi il primo ministro Imad Khamis dichiarò di voler bandire queste pratiche ma le milizie opponevano resistenza. Questa situazione riflette il fatto che poichè la guerra stava terminando in varie zone del paese questi posti di blocco erano sempre meno giustificati.

Nel giugno 2017 ad Aleppo c’è stato un giro di vite dopo che vari crimini commessi dalle milizie erano finiti addirittura sui mezzi di comunicazione del regime21. Il palazzo presidenziale ha inviato il tenente generale Mohammed Dib Zeitoun, capo della sicurezza di stato e una delle spie più potenti di Asad, per far cessare il comportamento illegale delle milizie. Le truppe della sicurezza di stato e dei servizi segreti dell’aeronautica circondardono i membri dei comitati popolari nei quartieri di Adhamiya, Akramiya e Seif Al-Dawla a cui seguirono alcune piccole scaramucce. Inoltre il capo locale del partito Baath, Fadel al-Najjar, ha emanato un decreto che irrigidiva la regolamentazione dei Battaglioni Ba’th22.

Tuttavia ci sono ostacoli significativi che impediscono di frenare il potere delle milizie su scala nazionale. Secondo l’imprenditore Fares Al-Shehabi l’intervento di Bashar Al-Asad era doppiamente necessario per far arrivare gli ordini anche agli alti ufficiali23. Il fatto è che i capi delle milizie di solito sono legati alle potenti agenzie di sicurezza e ad esponenti di spicco dell’esercito e ciò impediva alle autorità municipali prive del sostegno di funzionari di alto livello di agire contro di loro.

Il 6 luglio scorso gli industriali e gli uomini d’affari hanno organizzato una grande manifestazione nella zona industriale di Sheikh Najjar per denunciare le pratiche delle milizie di Aleppo. I manifestanti le accusavano di aver ucciso dei civili e di aver deliberatamente impedito il ritorno delle forniture idriche ed elettriche. Condannavano inoltre l’estorsione di denaro ai posti di blocco militari dietro minaccia ai lavoratori di inviarli a svolgere il servizio militare se non avessero pagato24. In contemporanea sulla strada per Aleppo i camionisti provenienti da Nubl e Zahra (due città sotto il controllo del regime) hanno organizzato un’altra manifestazione contro le tasse imposte ai posti di blocco e il comportamento violento dei miliziani.

Aleppo è stata un test per il regime per provare di essere capace di garantire la “stabilità” per la sua popolazione e per provare alla comunità internazionale di controllare il territorio dando quindi luce verde alla ricostruzione finanziata dall’estero.

Tuttavia questo è solo l’inizio di una lunga battaglia per far rientrare nei ranghi le forze paramilitari nel paese, tra cui le milizie locali come le Forze di Difesa Nazionale (FDN) e quelle controllate dall’Iran. Nel 2013 un ufficiale siriano aveva previsto il problema: “dopo questa crisi ce ne saranno altre mille: due anni fa i capi delle milizie dal nulla divennero qualcuno grazie alle armi. Come possiamo dire a questi shabbiha che devono tornare ad essere nessuno25?”

Nel 2017 le violente milizie di fuorilegge ancora diffondono il caos e l’insicurezza in vari territori sotto il controllo del regime26. Secondo alcuni attivisti dell’opposizione alla fine di agosto i combattenti di Nusur Homs, un gruppo paramilitare, si sono rifiutati di farsi perquisire mentre tornavano ad Homs e hanno aperto il fuoco contro la pattuglia di polizia27. Inoltre il numero complessivo dei posti di blocco gestiti dai miliziani non è diminuito, anzi ne sono sorti di nuovi che hanno portato all’aumento dei costi per i produttori e i consumatori.

Infine ci sono altri elementi che il regime difficilmente sarà in grado di affrontare e che mineranno la sicurezza. Uno di questi è il probabile cambio di strategia dei gruppi jihadisti, come Hay’at Tahrir Ash-Sham (HTS) e lo Stato Islamico (SI), che sono in ritirata e aumenteranno gli attentati suicidi nelle zone civili accrescendo quindi l’instabilità.

demonstration Aleppo
Manifestanti pro-regime accusano le milizie lealiste di star estorcendo denaro ai civili nei posti di blocco militari – Aleppo – 07/07/2017 (Al-Modon/Fair use. Tutti i diritti dell’autore)

I capitalisti del regime vogliono sempre di più

Sicuramente le milizie sono uno degli ostacoli maggiori per il ritorno alla “stabilità” ma non sono l’unico: anche i capitalisti clientelari, rafforzatisi politicamente ed economicamente grazie alla guerra, in un certo senso impediscono il ritorno degli investimenti nel paese da parte di una certa borghesia e quindi la creazione di un ambiente imprenditoriale favorevole alla ricostruzione. Le vittorie militari del regime e la riconquista di porzioni sempre maggiori di territorio siriano hanno spinto Damasco a tentare di recuperare gli investitori e gli uomini d’affari che avevano lasciato il paese a causa della guerra. Si vuole attirare gli investimenti e aumentare l’attività commerciale poichè il crollo della produzione manifatturiera aumenta il bisogno di importazioni, il che è un elemento cruciale visto che le valute straniere stanno diventando sempre più rare.

La chiusura di molte attività lavorative a partire dall’inizio della rivolta ha portato a una massiccia perdita di posti di lavoro (2,1 milioni dal 2010 al 2015). Nel 2016 il tasso di disoccupazione ha raggiunto il 60% mentre quella giovanile è passata dal 69% del 2013 al 78% nel 201528. L’83% della popolazione vive sotto la soglia di povertà e sono state distrutte due milioni di abitazioni29. L’alto livello di disoccupazione e di inflazione ha spinto i settori giovanili ad arruolarsi nell’esercito o nelle milizie, visto che il salario di un miliziano può essere anche quattro volte più alto di quello di un docente universitario30.

Nel febbraio 2017 Maamoun Hamdan, il ministro delle finanze, ha visitato l’Egitto per incontrare il “Gruppo Imprenditori Siriani in Egitto” (Tajammu‘ Rijal Al-A‘mal As-Suri Bi-Masr)31, molti dei quali sono industriali. Sono stati offerti numerosi incentivi come la riduzione delle tariffe doganali sui fattori produttivi, l’azzeramento delle tasse sui macchinari e sulle vendite oltre alla rinegoziazione di qualsiasi debito contratto con le banche statali – una legge approvata nel 2015 permette agli investitori di rinegoziare i propri debiti con condizioni molto vantaggiose32.

Inoltre Hamdan ha annunciato che il governo avrebbe finanziato la creazione di un impianto elettrico da 8 megawatt nel distretto industriale di Sheikh Najjar ad Aleppo e il completamento dell’aeroporto. Gli investitori hanno risposto con una lista di richieste, tra cui una moratoria di due anni per i loro debiti. Hanno posto anche una serie di domande sulle tariffe doganali e altre regolamentazioni commerciali. La settimana dopo hanno visitato Damasco per incontrare numerosi funzionari governativi33.

I capitalisti clientelari non hanno esitato un momento a criticare queste misure governative: una settimana dopo la visita al Cairo del mininistro il giornale al-Watan, di proprietà di Rami Makhlouf, a pubblicato un editoriale (“Gli industriali egiziani” del 26 febbraio 2017) in cui si condannava il fatto che gli investitori avevano legato il proprio ritorno in Siria agli incentivi governativi e che hanno deciso di ritornare “solo dopo la liberazione di Aleppo”34. Secondo The Syria Report, un giornale economico on-line, l’articolo voleva mettere pressione “a coloro nel governo che li rivolevano indietro. L’aver menzionato il fatto che dovrebbero pagare le loro insolvenze (es.: i debiti arretrati e le tasse) è una chiara minaccia agli investitori per fargli capire cosa li attenderà una volta tornati”35.

Gli investitori che hanno lasciato il paese a causa della guerra avevano origini differenti e operavano in vari settori ma la maggior parte aveva poche connessioni con il regime. Ad esempio quelli in Egitto erano per lo più industriali tessili e molti provenivano da Aleppo, cioè da un retroterra urbano e sunnita. L’origine della loro ricchezza non si fondava tanto sui loro rapporti con le istituzioni statali quanto sui loro investimenti36. Nel 2016 in un rapporto pubblicato sul BTI il Syrian Center for Policy Research (SCPR) ha dichiarato che nelle principali zone di conflitto come Aleppo il 90% delle fabbriche erano chiuse mentre quelle rimaste aperte lavoravano al 30% della loro capacità37. Ovviamente gli imprenditori non avevano molta scelta.

All’epoca della stesura del rapporto non c’erano segnali di un ritorno di massa degli industriali siriani, mentre nel marzo 2017 il regime egiziano aveva annunciato di volergli creare dei distretti industriali in Egitto come contromossa ai tentativi di Damasco di farli tornare in patria38. Ci sono molti altri elementi che hanno impedito questo ritorno ma il comportamento dei capitalisti filo-regime sicuramente non ha aiutato.

Dunque il recente appello di Walid Muallem per una “diplomazia economica attiva che prepari la fase di ricostruzione a servizio degli interessi nazionali” e “l’importanza di dare la priorità ai contributi degli espatriati al processo di ricostruzione migliorando la comunicazione e l’interazione costruttiva con le comunità siriane all’estero” è difficile che si concretizzi. Di fatto è impossibile senza collaborare con i capitalisti clientelari e gli altri funzionari del regime.

Syrian businessmen in Egypt logo
Logo del Gruppo Imprenditori Siriani in Egitto (Facebook/Fair Use. Tutti i diritti dell’autore)

L’economista Osama Qadi ha detto che “la ripresa potrebbe durare vent’anni, sempre che si inizi nel 2018 con il 4,5% di crescita39“. Date le condizioni attuali sembra più che ottimista.

La possibile cessazione delle ostilità in un prossimo futuro non significa la fine dei problemi per il regime, anzi è il contrario. Bisognerà avere a che fare con una serie di contraddizioni e sfide: da un lato soddisfare gli interessi del capitalismo clientelare e delle milizie, dall’altro accumulare capitale tramite la stabilità economica e politica mentre si concedono le maggiori quote del business della ricostruzione ai propri alleati all’estero. Oggi questi obiettivi difficilmente coincidono.

La capacità di recupero del regime nella guerra contro qualsiasi tipo di dissenso ha avuto un prezzo elevatissimo, soprattutto in termini di vite umane e di distruzione ma anche sul piano politico. Oltre alla sempre maggiore dipendenza dalle potenze straniere è aumentato il carattere ereditario del regime, mentre la sua autorità è diminuita. Gli affaristi e le milizie hanno avuto un incremento considerevole del loro potere mentre si è rafforzato il carattere clientelare, settario e tribale del regime. Dunque l’assenza di democrazia e di giustizia sociale, cioè la causa della rivolta, è ancora molto presente ed è anche peggiorata.

Tuttavia l’assenza di un’opposizione politica inclusiva e strutturata che faccia appello a tutte le classi popolari e degli attori sociali, come i sindacati indipendenti e le associazioni di contadini, che possano sfruttare le contraddizioni interne del regime rende molto difficile la trasformazione delle varie lotte in una battaglia politica connessa ed organizzata su scala nazionale.

Joseph Daher è un attivista i cui scritti sono stati pubblicati in arabo, francese e inglese. Ha ottenuto un dottorato alla School of Oriental and African Studies (SOAS) con una tesi sul materialismo storico ed Hezbollah, da cui è stato tratto il libro “Hezbollah: the political economy of the Party of God”. Vive in Svizzera dove insegna all’università di Losanna. Il suo blog si intitola SyriaFreedomForever.

1 “Marsum 66…” (in arabo), Cham Press, 2012. Visitato il 26 agosto 2017, http://www.champress.net/index.php?q=ar/Article/view/7769.

2 Erika Solomon, “Syria: A Tale of Three Cities,” Financial Times, 2017. Visitato il 30 luglio 2017, https://www.ft.com/content/6710ab2a-7716-11e7-90c0-90a9d1bc9691.

3 Tom Rollins, “Decree 66: The Blueprint for Al-Assad’s Reconstruction of Syria?”, IRIN News, 2017. Visitato il 20 maggio 2017, https://www.irinnews.org/investigations/2017/04/20/decree-66-blueprint-al-assad’s-reconstruction-syria.

4 Le stime sui residenti delle aree informali oscillano tra il 30 e il 40 percento, ma potrebbero addirittura raggiungere il 50. Robert Goulden, “Housing, Inequality, and Economic Change in Syria,” British Journal of Middle Eastern Studies, Volume 38, Issue 2 (2011): 188.

5 T. Rollins, “Decree 66: The Blueprint for Al-Assad’s Reconstruction of Syria?”

6 “Government Planning to Expand Use of Expropriation Law,” The Syria Report, 2017. Visitato il 12 gennaio 2017, http://www.syria-report.com/news/real-estate-construction/government-planning-expand-use-expropriation-law [solo su abbonamento]; “Défigurée par la Guerre, Alep se Prépare à une Reconstruction Titanesque,” (in francese), La Libre, 2016. Visitato il 30 dicembre 2016, http://www.lalibre.be/actu/international/defiguree-par-la-guerre-alep-se-prepare-a-une-reconstruction-titanesque-58637ad2cd70138bd425834a.

7 “Samer Al-Foz… Alm Naql Sabiqan: Tazkaru al-Ism Jaydan..?!”, Eqtisad, 2017. Visitato il 20 agosto 2017, http://www.eqtsad.net/read/17672; “Private Investors to Benefit from Government Investment in Real Estate Project,” Syria Report, 2017. http://syria-report.com/news/real-estate-construction/private-investors-benefit-government-investment-real-estate-project [solo su abbonamento].

8 “Government Planning to Expand Use of Expropriation Law,” The Syria Report, 2017. Visitato il 12 gennaio 2017, http://www.syria-report.com/news/real-estate-construction/government-planning-expand-use-expropriation-law [solo su abbonamento].

9 Brian Young, “FACTBOX: Syria’s Conflict Economy,” Atlantic Council, 2017. Visitato il 26 luglio 2016, http://www.atlanticcouncil.org/blogs/syriasource/factbox-syria-s-conflict-economy.

10 Steven Heydemann, “Syria Reconstruction and the Illusion of Leverage,” Atlantic Council, 2017. Visitato il 23 maggio 2017, http://www.atlanticcouncil.org/blogs/syriasource/syria-reconstruction-and-the-illusion-of-leverage.

11 “Syrian Banks Unable to Finance Reconstruction,” The Syria Report, 2017. Visitato il 21 luglio 2017, http://www.syria-report.com/news/finance/syrian-banks-unable-finance-reconstruction [solo su abbonamento].

12 “Europe, U.S. to Apologise to Syria Before Getting Reconstruction Contracts – Government Official,” The Syria Report, 2017. Visitato il 15 febbraio 2017, http://www.syria-report.com/news/economy/europe-us-apologise-syria-getting-reconstruction-contracts-–-government-official [solo su abbonamento]; “Khamis: Investment Opportunities Will Be Given to Countries That Stood by Syria,” SANA, 2017. Visitato il 25 agosto 2017, http://sana.sy/en/?p=111457.

13 Tobias Schneider, “Aleppo’s Warlords and Post-War Reconstruction”, Middle East Institute, 2017. Visitato il 17 giugno 2017. http://www.mei.edu/content/article/growing-warlordism-battle-scarred-aleppo.

14 Steven Heydemann, “Rules for Reconstruction in Syria”, Brookings, 2017. Visitato il 25 agosto 2017, https://www.brookings.edu/blog/markaz/2017/08/24/rules-for-reconstruction-in-syria/.

15 Neil Hauer, “To the Victors, the Ruins: the Challenges of Russia’s Reconstruction in Syria,” Open Democracy, 2017. Visitato il 20 agosto 2017, https://www.opendemocracy.net/od-russia/neil-hauer/to-victors-ruins-challenges-of-russia-s-reconstruction-in-syria.

16 Steven Heydemann, “Rules for Reconstruction in Syria.”

17 “Authorities Silent While Lattakia’s Elderly a ‘Soft Target’ for Looters, Murderers,” The Syrian Observer (fonte dell’originale in arabo: Zaman Al-Wasl), 2016. Visitato il 30 agosto 2016, http://syrianobserver.com/EN/News/31528/Authorities_Silent_While_Lattakia_Elderly_Soft_Target_for_Looters_Murderers; “Kidnapping of Women in Lattakia Sparks Anger of Loyalists”, The Syrian Observer (fonte dell’originale in arabo: Zaman Al-Wasl), 2016. Visitato il 17 novembre 2016, http://syrianobserver.com/EN/News/31965/Kidnapping_Women_Lattakia_Sparks_Anger_Loyalists.

18 “Loyalists Outraged by Shabeeha Looting in Regime Held Aleppo,” The Syrian Observer, (fonte dell’originale in arabo: Zaman Al-Wasl), 2016. Visitato il 12 settembre 2016, http://www.syrianobserver.com/EN/News/31601/Loyalists_Outraged_Shabeeha_Looting_Regime_held_Aleppo.

19 “Sa’iqun Yuqati‘un Tariq Nubl wa Az-Zahra’ — Halab Ihtijajan ‘ala “al-Atawat,” (in arabo), Enab Baladi, 2017. Visitato il 30 agosto 2017, https://www.enabbaladi.net/archives/160118?so=related>,); “Al-Lajna al-Amniyyah fi Halab Tulghi “at-Tarfiq”… wa Ash-Shehabi: Al-Asad Tadakhkhala,” (in arabo), Enab Baladi, 2017. Visitato il 30 agosto 2017, https://www.enabbaladi.net/archives/150756?so=related; “As Anger Grows Government Tries to Rein in Extortion by Regime Militias,” The Syria Report, 2017. Visitato il 24 maggio 2017, http://www.syria-report.com/news/economy/anger-grows-government-tries-rein-extortion-regime-militias [solo su abbonamento].

20 “As Anger Grows Government Tries to Rein in Extortion by Regime Militias,” The Syria Report, 2017; “Sina‘iu Dimashq Yutalibuna bi-Ilgha’ “at-Tarfiîq” wa Iqaf at-Tahrib min Turkiya,” (in arabo), Enab Baladi, 2017. Visitato il 30 giugno 2017, https://www.enabbaladi.net/archives/150953.

21 “Tafasil Qatl at-Tifl “Ahmad Jawish” fi Halab,” (in arabo), Syria Scope, 2017. Visitato il 30 luglio 2017, http://www.syria-scope.com/political-news/75289; “Ahali Halab Yutalibuna bi-Dabt al-Ta‘addiyat,” (in arabo), Al-Watan, 2017. Visitato il 4 settembre 2017, http://alwatan.sy/archives/107730; “Haqiqah Ma Hadatha ma‘a al-I‘lami Badr Jad‘an bi-Hayy Al-Jamiliyyah,” (in arabo), Akhbar Halab, 2017. Visitato il 4 settembre 2017, https://www.nfac-sy.net/news/12493.

22Aron Lund, “Aleppo Militias Become Major Test for Assad,” IRIN, 2017. Visitato il 23 giugno 2017, https://www.irinnews.org/analysis/2017/06/22/aleppo-militias-become-major-test-assad.

23 “As Anger Grows Government Tries to Rein in Extortion by Regime Militias,” The Syria Report, 2017.

24 “Halab: Tazahurat Tutalib bi-Khuruj Milishiyyat an-Nizam,” (in arabo), Al-Modon, 2017. Visitato il 8 luglio 2017, http://www.almodon.com/arabworld/2017/7/7/حلب-مظاهرات-تطالب-بخروج-مليشيات-النظام-وإزالة-الحواجز .

25 Aryn Baker, “Syria’s Assad May Be Losing Control Over His Deadly Militias,” Time, 2013. Visitato il 20 luglio 2014, http://world.time.com/2013/09/11/syrias-assad-may-be-losing-control-over-his-deadly-militias/.

26 “Regime Authorities Fail to Control Chaos Spread by Loyalist Militias,” The Syrian Observer (fonte dell’originale in arabo: Al-Souria-Net), 2017. Visitato il 20 agosto 2017, http://syrianobserver.com/EN/News/33141/Regime_Authorities_Fail_Control_Chaos_Spread_Loyalist_Militias/.

27 “On Duty Police Officer Hospitalized by Loyalist Militants in Homs,” The Syrian Observer (fonte dell’originale in arabo: Zaman Al-Wasl), 2017. Visitato il 24 agosto 2017, http://syrianobserver.com/EN/News/33167/On_Duty_Police_Officer_Hospitalized_Loyalist_Militants_Homs/.

28 “Syria at War, Five Years On,” ESCWA e University of St Andrews (2016): 28. Visitato il 20 novembre 2016, https://www.unescwa.org/sites/www.unescwa.org/files/publications/files/syria-war-five-years.pdf.

29 Brian Young, “FACTBOX: Syria’s Conflict Economy.”

30 “Fi (Suriya Al-Asad)… Ustaz fi al-Jami‘a Yahsul ‘ala Ratib Yaqill ‘an Rub‘ Ma Yahsul ‘alayhi Muqatil fi Milishiyya Muwaliyyah,” (in arabo), All4Syria, 2017. Visitato il 27 aprile 2017, http://www.all4syria.info/Archive/404489.

31 “Syrians’ Investments Abroad Would Not Prevent Industrialists from Return Home,” SANA, 2015. Visitato il 4 settembre 2017, http://sana.sy/en/?p=61368.

32 “Despite Launch of Local Car Assembly Plant, Syria Struggles to Attract Back Manufacturers,” The Syria Report, 2017. Visitato il 21 febbraio 2017, http://syria-report.com/news/manufacturing/despite-launch-local-car-assembly-plant-syria-struggles-attract-back-manufacturer [solo su abbonamento].

33 “Finance Minister Meets Delegation of Syrian Industrials Residing in Egypt,” SANA, 2017. Visitato il 21 febbraio 2017, http://sana.sy/en/?p=100509.

34 Ali Hashem, “As-Sina‘iun al-Masriyyun,” (in arabo), Al-Watan, 2017. >, Visitato il 25 maggio 2017, http://alwatan.sy/archives/93130.

35 “Regime Cronies Resist Government Attempts to Lure Back Investors into Syria,” The Syria Report, 2017. Visitato il 22 febbraio 2017, http://syria-report.com/news/economy/regime-cronies-resist-government-attempts-lure-back-investors-syria [solo su abbonamento].

36 “Syria Country Report”, BTI Project (2016): 15. Visitato il 31 novembre 2016, https://www.bti-project.org/fileadmin/files/BTI/Downloads/Reports/2016/pdf/BTI_2016_Syria.pdf.

37 “Aleppo Lost 90 percent of its Manufacturing Capacity,” The Syria Report, 2016. Visitato il 29 marzo 2016, http://www.syria-report.com/news/manufacturing/aleppo-lost-90-percent-its-manufacturing-capacity [solo su abbonamento].

38 “Ministry of trade studies launching Syrian industrial zone in Egypt,” Al-Bawaba Egypt, 2017. Visitato il 4 September 2017, http://www.albawabaeg.com/91831.

39 “‘Reconstruction Cost of Syria Is Estimated at $300 Billion Five Times the 2010 GDP,’ FEMISE Conference Interview with Osama Kadi, President of Syrian Economic Task Force,” FEMISE, 2017. Visitato il 26 agosto 2017, http://www.femise.org/en/articles-en/reconstruction-cost-of-syria-is-estimated-at-300-billion-five-times-the-2010-gdp-femise-conference-interview-with-osama-kadi-president-of-syrian-economic-task-force/.

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